“Bisognava riaprire le scuole”

Al Brandolini-Rota di Oderzo come sono stati vissuti e come si continuano a vivere i mesi della pandemia? Abbiamo chiesto al direttore, padre Massimo Rocchi dei Giuseppini del Murialdo, di raccontarcelo.

Padre Massimo. com’è finito questo strano anno scolastico in collegio?
«Dal 10 al 26 giugno abbiamo organizzato l’ultimo giorno di scuola per tutte le classi della scuola primaria, delle medie e del liceo. Una mattinata per ogni classe, con un insegnante ogni 7-10 alunni come prescrivono i regolamenti; poi abbiamo allestito una zona triage per il controllo della temperatura, allestito i tavoli con il gel igienizzante, eccetera.
Abbiamo fatto molte attività all’aperto, soprattutto di gioco e di dialogo. Era facoltativo: hanno partecipato dalla metà ai due terzi degli alunni, anche perché alcuni erano già in vacanza.
Sabato 27, dopo gli orari dell’esame di maturità e i colloqui online con le terze medie, abbiamo concluso le attività scolastiche.
Devo dire che i ragazzi avevano tanto bisogno di rivedersi».

Avete potuto farlo perché avete gli spazi adeguati…
«Secondo me ogni scuola poteva farlo. Certo, non tutte le classi insieme: un giorno alla settimana a rotazione. Credo sia stato un errore obbligare le paritarie a non fare nulla solo perché nelle statali non si sono organizzati… Non è così che si formano le persone: come possiamo educarle alla legalità se poi non possiamo insegnargli le regole? L’abbiamo fatto a distanza, ma gli studenti in classe avrebbero imparato meglio, perché l’esortazione non basta, occorre anche la disciplina, la metodologia di comportamento nella pratica, e gli insegnanti gliel’avrebbero data. Invece non l’ha fatto nessuno, e ora vediamo i ragazzini in giro per Oderzo vicini e senza mascherina».

Ed ora?
«Da alcuni giorni abbiamo iniziato Brandolandia, il nostro Grest: solo al mattino, solo per le classi elementari. Una settantina di partecipanti divisi in gruppi di sette con un maggiorenne e un animatore; probabilmente termineremo il 31 luglio. E siccome noi Giuseppini non siamo eterni, la gestione è affidata all’associazione di promozione sociale “Murialdo Oderzo” che abbiamo creato tre anni fa per portare avanti le attività extrascolastiche. Dal 25 aprile al 16 giugno abbiamo anche pubblicato online dei video di animazione, i “Murialdo Time”, i quali hanno avuto un successo oltre le nostre aspettative, con metà visualizzazioni al di fuori dell’Opitergino, anche all’estero».

Come fate con i campi estivi?
«So che Azione Cattolica e Agesci non li fanno, e posso capirlo viste le questioni di responsabilità. Noi a Caviola di Falcade abbiamo un campo di nostra proprietà con strutture fisse e delle tende: dopo aver studiato bene le direttive regionali abbiamo deciso di fare il campo estivo lo stesso con quasi una cinquantina di ragazzi. Meno della metà della capienza totale, perché in una tenda da cinque posti ne stanno due, per tenere i letti a distanza».

Qual è stata la reazione delle famiglie?
«I genitori ci hanno ringraziato a lungo visto che, tra centri estivi parrocchiali e non che sono stati annullati, siamo rimasti tra i pochi a fare qualcosa. Abbiamo aperto le iscrizioni e raggiunto rapidamente il tutto esaurito solo con i nostri, dei quali conosciamo bene le provenienze, e questa è una cosa che ci garantisce di più».

Cosa ne pensa delle regole anti-Covid?
«A maggio, quando hanno prolungato le disposizioni, mi sono molto arrabbiato. A marzo e aprile hanno avuto assolutamente il loro senso; a maggio, così come gradualmente le aziende hanno ripreso la loro vita normale, bisognava farlo anche con i ragazzi che sono stati molto penalizzati da questa situazione.
Io sono bergamasco, e mio fratello mi manda tutti i giorni i dati della Lombardia: a inizio giugno, mentre da loro avevano duecento casi al giorno, da noi eravamo scesi sotto i dieci, quindi con la necessaria prudenza non ci sarebbero stati problemi».

Diciamo che è difficile fare differenze…
«Ma perché allora noi e le parrocchie dobbiamo seguire delle regole ferree mentre al mare tutti fanno quello che vogliono? Perché lì non si possono controllare tutti. Ma allora di cosa stiamo parlando?
La gente ha bisogno di uscire: un nostro alunno che sta facendo la stagione a Jesolo mi ha detto che lo scorso fine settimana hanno fatto l’incasso di Ferragosto. Aggiungiamo che molti hanno consumato le ferie in primavera, e quindi ora andranno al mare quando possono, cioè il sabato e la domenica: era meglio quindi aprire prima, fare le cose con gradualità ed evitare questi pienoni che non ci sono mai stati».

Ma questa apprensione secondo lei è legittima?
«Basta guardare i dati oggettivi e non i titoli dei giornali, ovvero confrontare i morti dell’anno scorso e quelli di quest’anno nelle varie regioni. A parte nel bergamasco, dopo Pasqua non aveva più molto senso tenere tutto chiuso. E adesso chi misura i danni psicologici e relazionali causati dalla chiusura? E quelli che perderanno il lavoro dopo il 31 luglio, cosa faranno? Andrà tutta riscritta la storia di questi mesi.
Bisognava aprire prima, con gradualità e regole certe, certezze che nel mondo nella scuola non ci sono state».

L’Azione, domenica 19 luglio 2020

Razzismo e povertà: il dito e la luna

Ormai è passato più di un mese dalla morte di George Floyd, e mentre la copertura mediatica sul movimento Black Lives Matters nato a seguito di quel tragico evento si sta lentamente affievolendo, com’era assai prevedibile l’onda emotiva seguita a questo ennesimo esempio di brutalità mortale da parte della polizia americana sta sfociando anche in una crociata contro i simboli che a volte abbatte decisamente il muro del ridicolo.

L’ampia copertura mediatica della vicenda ha spinto i venti della protesta fin in Europa e quindi nel nostro paese. Questo sebbene in casa nostra, per inquadrare meglio il problema e studiare quindi delle soluzioni adeguate, sarebbe più appropriato parlare di xenofobia piuttosto che di razzismo.

Nei giorni scorsi si è parlato parecchio sull’opportunità di rimuovere, a Milano, la statua dedicata a Indro Montanelli a causa dell’ormai noto episodio che lo vide protagonista in Abissinia e del fatto che non l’abbia mai rinnegato; personalmente ritengo che questo dibattito potrebbe essere molto utile se riuscisse a mettere pesantemente in discussione l’immagine spesso edulcorata del grande buco nero della storia moderna europea, ovvero il colonialismo, ma non è questo il punto.

Se infatti il dibattito sulla statua di Montanelli nel dibattito pubblico ha più spazio delle battaglie di Aboubakar Soumahoro, vuol dire che c’è qualcosa che non va. Se si trasforma Soumahoro per due giorni in un idolo nazionale per aver asfaltato Salvini e poi ci si gira dall’altra parte se si incatena per protestare contro le politiche migratorie, c’è sempre qualcosa che non va.

Ritengo infatti che sarebbe ora passata di smettere di guardare il dito (il razzismo) e iniziare a guardare la luna (la povertà). Come dicono i rapporti del Censis, da noi se sei straniero e povero hai più probabilità di subire atti di razzismo, se invece sei italiano e povero hai più probabilità di diventare razzista (anzi, appunto, xenofobo).

Vogliamo mettere in discussione le disuguaglianze sociali, il nostro stile di vita? No. E i liberal americani che stanno marciando sul #blacklivesmatter, lo vogliono? Ancora meno.

Allora possiamo eliminare anche tutte le statue del mondo, tanto le cose non cambieranno.

Affinità-divergenze fra la vecchia Margaret e noi

 

Il caso ha voluto che la sera precedente alla nomina di Boris Johnson a primo ministro inglese mi sia visto The Iron Lady, il film biografia su Margaret Thatcher, sua illustre collega di partito nonché predecessora a Downing Street.
Meryl Streep è un’attrice enorme, e la pellicola in quanto a mancanza di obbiettività se la può giocare con Bohemian Rhapsody, ma non è questo ciò di cui vi voglio parlare.
Guardando il film e approfondendo un pochino l’argomento infatti non si può non notare come le politiche economiche dei conservatori inglesi degli anni ’80, euroscetticismo a parte, non fossero poi molto diverse da quelle portate avanti oggigiorno da un Macron o dai principali partiti progressisti liberal occidentali.
La differenza fondamentale la fa l’opposizione: a fare opposizione alla Lady di Ferro c’erano un grosso partito socialdemocratico, gli operai, il ceto medio, ed infine una satira e una controcultura giovanile che l’hanno sbeffeggiata senza ritegno fino al giorno del suo funerale. E se tra questi oppositori non c’era il movimento no global è solo e semplicemente perché… doveva ancora nascere. Il malcontento verso le politiche liberiste del governo Thatcher veniva sfogato con le manifestazioni (anche violente) di piazza, con gli scioperi, con la musica, con il voto a sinistra.
Oggi a fare opposizione ai partiti progressisti-liberisti c’è una sinistra elettoralmente irrilevante e i partiti populisti (liberisti anch’essi, tra l’altro); il malcontento della gente rimane lo stesso, ma nel 2019 viene sfogato nei commenti sui social network, nell’odio verso il povero, specie se immigrato, nell’adesione a movimenti contraddittori come i gilet gialli o i nostri pentastellati, nel voto a personaggi come Le Pen, Orban, Trump, Salvini. La controcultura giovanile non esiste, Morrisey è fascio, il movimento no global è morto, la satira è spesso provocazione fine a se stessa.
Come se non bastasse, le politiche liberiste hanno trovato casa non solo nei programmi di governo progressisti ma anche nei piani alti dell’Unione Europea.
Nel 1990 fu l’opposizione interna a far cadere la Thatcher: nel 2019 il Partito Conservatore inglese è più in crisi che mai. Ah, e la Gran Bretagna ha votato la Brexit.
La vecchia Maggie è morta sei anni fa ma forse non è mai stata così viva come oggi.
E, permettetemi di dirlo, non è affatto una buona notizia.

Una settimana… da Dio

A tre anni di distanza da “Rifiutarsi di essere nemici”, Fucina n.4 organizza un nuovo diario di viaggio dedicato alla Palestina, questa volta in collaborazione con il Centro culturale Giorgio La Pira Motta e la parrocchia di Motta di Livenza.

Tema della serata è un’esperienza di viaggio compiuta a cavallo tra 2018 e 2019 da Andrea Pizzinat, uno dei componenti dell’associazione Fucina n.4; il viaggio era organizzato dai Frati Carmelitani Scalzi di Treviso.

Questa esperienza sarà il punto di partenza per una digressione, non scontata, su alcune tra le principali mete di pellegrinaggio cristiane del territorio. Ma non solo: non mancheranno infatti vari spunti di riflessione sulla complessa situazione geopolitica dell’area, e sulle difficili convivenze tra i popoli, le fedi e le confessioni religiose che da secoli interessano il territorio.

UNA SETTIMANA… DA DIO. DIARIO DI UN VIAGGIO IN TERRA SANTA
Giovedì 4 aprile 2019, ore 20.45
Patronato don Bosco, Motta di Livenza (TV)

Don Luigi Ciotti a Oderzo

“Orizzonti di giustizia sociale”: questo era il titolo dell’appuntamento opitergino di don Luigi Ciotti, tenutosi domenica 10 febbraio presso il teatro del collegio Brandolini-Rota.

L’evento, organizzato dal gruppo “Insieme diamo luce” di Oderzo con il CSV Volontarinsieme di Treviso, com’è noto ha suscitato clamore a livello nazionale a causa della decisione della giunta comunale di non concedere il patrocinio e il più capiente teatro Cristallo: l’incontro è quindi iniziato tra il rumoroso disappunto delle tantissime persone rimaste fuori e quello, ancora più rumoroso, di una parte del pubblico durante l’intervento iniziale del sindaco Scardellato.

A questo proposito l’abate di Oderzo mons. Pierpaolo Bazzichetto ha voluto sottolineare come la tensione della vigilia non rispecchi assolutamente la realtà sociale del territorio, «fatta di tante associazioni che operano a favore dei poveri, anche in collaborazione con l’amministrazione: con posizioni diverse, ma sempre in un clima di rispetto».

Don Luigi ha iniziato il suo intervento dichiarando di “non amare le tifoserie” e stemperando così il nervosismo; ha quindi raccontato la sua esperienza di piccolo bellunese emigrato a Torino con la famiglia, andando a vivere nella baracca di un cantiere, perché il padre aveva trovato un lavoro ma non un alloggio. A diciassette anni ha l’incontro che gli cambia la vita, con un ex medico stimato finito a fare il barbone: Luigi così a vent’anni fonda il Gruppo Abele e sette anni dopo, ordinato presbitero, gli viene affidata dal vescovo una parrocchia speciale, ovvero la strada.

Don Ciotti ha raccontato come dal Gruppo Abele siano scaturite varie realtà a favore degli ultimi, quali i tossicodipendenti o i malati di AIDS; nel 1995 nasce invece “Libera contro le mafie”.

«Oggi – ha ribadito – voi non state incontrando don Luigi Ciotti, perché io rappresento un “noi”»: il riferimento era alle tantissime persone che negli anni hanno contribuito con il loro impegno politico a questa storia. Sì: proprio “politico”, perché la politica è «la più alta ed esigente forma di carità, il servizio a favore del bene comune», ha affermato citando le famose parole di papa san Paolo VI; perché «Libera è apartitica ma non apolitica» e perché «L’impegno politico non è solo di chi governa: anche noi, come cittadini, abbiamo la nostra parte di responsabilità».

Libera è formata da una rete di seicento associazioni, laiche e confessionali, che portano il loro contributo mantenendo la propria identità. Una rete che più che essere “contro” (la mafia, le disuguaglianze eccetera) è “per”: «Per la cultura che sveglia le coscienze, per l’educazione, per la conoscenza. Io, come gli altri, faccio la mia parte: anche se siamo piccoli, dal basso possiamo portare apporti significativi al cambiamento, ma occorrere essere uniti nei propri obiettivi».

Don Ciotti più volte ha voluto mostrare come con la corresponsabilità, l’impegno e l’unità si possano ottenere grandi risultati: l’altro ingrediente è la preghiera. «Non sono un profeta – ha affermato rispondendo al moderatore – Sono un poveretto che ogni giorno chiede a Dio che mi dia una bella pedata. E oggi pomeriggio pregherò che dia una pedata anche a voi cittadini di Oderzo»: questo perché «Abbiamo bisogno tutti della “dolce pedata di Dio”, per evitare che qualcuno si senta arrivato! Io a settantatré anni sono ancora qui che mi interrogo, perché i dubbi sono più sani delle certezze: se incontrate qualcuno che dice di aver capito tutto, salutatemelo e cambiate direzione».

«Da anni ce la metto tutta per “saldare la terra con il cielo”», ha continuato; per questo i suoi riferimenti principali sono due, il Vangelo e la Costituzione italiana. Infatti «Nel Vangelo c’è molta politica, ma è la politica del Concilio Vaticano II, la politica che ci ricorda papa Francesco». Il vangelo parla di politica quando denuncia i soprusi e le ipocrisie: dall’altra parte invece «c’è molto Vangelo nella Costituzione, quando essa stabilisce la pari dignità delle persone, il loro diritto a vivere in pace, la giustizia».

«Il Vangelo dice che non si può amare Dio se non si amano le persone», e come punto di riferimento ha indicato un tesoro di cui si parla ancora troppo poco, la Dottrina Sociale della Chiesa: «Ci invita a metterci in gioco: da questo deriva tutto il resto». Il relatore, da buon “parroco della strada”, arriva pure a commentare il Vangelo del giorno, la chiamata di Pietro (Lc 5,1-11): «Quelle parole sono un invito a guardare oltre le difficoltà del momento e le delusioni per i nostri fallimenti. Lo Spirito ci dà continuamente la forza per ripartire, ed assumerci ancora una volta le nostre responsabilità con rinnovata passione».

Don Ciotti ha provocatoriamente auspicato per questo motivo la futura “fine del volontariato”, che avverrà quando non ci sarà più alcuna distinzione tra esso e la cittadinanza: perché «È dovere di un cittadino, e a maggior ragione di un cristiano, essere volontario, ovvero mettere a disposizione una parte del proprio tempo per gli altri».

Don Luigi Ciotti, in qualità di fondatore di “Libera contro le mafie”, in questo periodo si trova spesso in Triveneto per partecipare a degli incontri in vista del prossimo 21 marzo, giornata che su iniziativa proprio di Libera dal 1996 è dedicata al ricordo delle vittime innocenti di mafia. Tra questi, due incontri sono stati organizzati nella nostra diocesi: una conferenza a Oderzo domenica scorsa e un’altra a Conegliano che si terrà mercoledì 20 al teatro Accademia; questo perché la manifestazione nazionale organizzata da Libera il 21 marzo, che si tiene ogni anno in una regione diversa, quest’anno si svolgerà a Padova. In contemporanea, l’elenco dei nomi di tutte le vittime di mafia sarà letto in centinaia di luoghi in tutta Italia.

L’Azione, domenica 17 febbraio 2019

Battisti: ed ora giustizia. Riparativa.

Cesare Battisti: com’era facilmente prevedibile, dopo il suo ritorno in Italia in catene in tanti hanno perso un’occasione per stare zitti, tra chi ancora si ostina a difenderlo, e chi peggio ancora pur ricoprendo un alto ruolo istituzionale usa espressioni tipo “buttare le chiavi” e “marcire in galera”.
Così a me torna in mente quando, quasi sei anni fa, ebbi la possibilità di ascoltare a San Vendemiano la testimonianza di Arrigo Cavallina, fondatore dei Proletari Armati per il Comunismo.
Cavallina è stato il responsabile dell’iniziazione al terrorismo di Battisti, fatto avvenuto in carcere a Udine nel 1977: questo a dimostrazione che a volte la pena carceraria porta a risultati ben diversi da quelle che dovrebbe proporsi, ovvero redimere il condannato e portarlo ad un pieno reinserimento in società una volta scontata la pena (meglio ricordarlo che magari qualcuno in bonafede non se lo ricorda).
Cavallina, che a differenza di Battisti il suo conto con la giustizia l’ha abbondantemente pagato, da anni cerca di diffondere la cosiddetta “giustizia riparativa”, anche attraverso un bel libro autobiografico, La piccola tenda d’azzurro, che vi consiglio di leggere se volete capire cos’era (e cos’è) il carcere in Italia: un metodo che Cavallina applicherebbe volentieri anche all’ex compagno di carcere, cosa che ovviamente non avverrà.
Chissà se in questi giorni c’è qualche giornalista di testate nazionali a cui è venuto in mente di chiedergli un’opinione sui fatti degli ultimi giorni: farebbe un gran servizio all’intelligenza e alla decenza, in mezzo a tante parole inutili e divise indossate a casaccio.

Addio, megadirettore galattico

Oggi ci ha lasciato Paolo Paoloni.

Questa notizia inevitabilmente mi ha spinto a riguardarmi la scena finale del primo film di Fantozzi, quella in cui Paoloni, impersonando il Megadirettore Galattico Duca Conte Maria Rita Vittorio Balabam, ci ha lasciato un sunto di quasi tutto il peggio del progressismo liberal che, partito dagli Stati Uniti, va ora purtroppo di moda in buona parte del mondo occidentale.

Parliamo di quella politica altezzosa, petalosa, lontana dalla gente, che strizza l’occhio a personaggi come Steve Jobs o Marchionne, e che poi alle urne si fa battere da soggettini che non vale nemmeno la pena nominare.

Ecco, se io dovessi tenere una serata in una scuola di formazione politica, inizierei mostrando con questo video, giusto per far capire subito qual è la direzione da non prendere.

Un film uscito nel 1975. Lo stesso anno, tra l’altro, in cui è stato assassinato un altro personaggio che aveva capito in anticipo da che parte stava andando il mondo.