Il terrorismo e gli obbiettivi del Wahabismo

Foto de La Tenda Tv (video della serata in calce al post)

Fulvio Scaglione, giornalista per varie testate cartacee e digitali, nonché ex direttore di Famiglia Cristiana, è stato il relatore di una serata organizzata al Museo del Cenedese a Vittorio Veneto lo scorso 3 marzo da Mondo in Cammino e l’associazione culturale MAI.
Scaglione ha mostrato, numeri alla mano, come non ci sia alcun indicatore che mostri un miglioramento da quando, a seguito dell’11 settembre 2001, gli Stati Uniti lanciarono la loro crociata contro il terrorismo, seguiti a ruota da tutti i suoi alleati occidentali: il numero dei morti nel mondo per attentati terroristici compiuti da estremisti islamici è in aumento, così come in generale l’instabilità politica. Occorrerebbe a questo punto chiedersi, ha affermato provocatoriamente il giornalista, se ci sia veramente mai stata una guerra al terrorismo.
Egli ha voluto fare una precisazione, assai importante per evitare di liquidare frettolosamente quanto sta accadendo nel mondo come uno “scontro di civilità” o una guerra dell’islam contro gli infedeli: il terrorismo è figlio del wahabismo, una corrente interna all’islam che predica un’interpretazione rigida e conservatrice del Corano, a cui aderiscono le petrolmonarchie al potere nella penisola arabica (in particolare in Arabia Saudita). Il suo obbiettivo principale, da decenni, è quello di monopolizzare l’islam cancellando qualsiasi altra corrente di pensiero al suo interno. Con ottimi risultati: se infatti l’Arabia Saudita è la patria di appena il 3% dei musulmani, essa controlla più o meno direttamente il 90% delle associazioni filantropiche, religiose e culturali di ispirazione islamica nel mondo, finanziando inoltre la costruzione di moschee ovunque, anche in Europa (in particolare in Kosovo e Bosnia). Certe associazioni filantropiche sono però specchietti per le allodole che, con la scusa di ricevere la zakat, ovvero l’elemosina che ogni musulmano praticante deve versare da precetto, riceve ingenti somme di denaro che vengono poi destinate ad Al Qaida, Hamas ed altre organizzazioni del terrore nel mondo: un meccanismo funziona almeno dal 1979, ovvero da quando venivano finanziati sottobanco i mujaheddin che combattevano contro i Sovietici in Afghanistan.
A sostenere questa tesi, ma Scaglione parla di “dato di fatto”, non sono complottisti o teste calde, ma insigni docenti universitari e esperti di geopolitica che lavorano per autorevoli centri studi di settore anche americani, fin dal 2002. E ne è al corrente anche Washington, come dimostrano i documenti della Segreteria di Stato americana datati 2009 resi pubblici da Wikileaks. Eppure questo non ha impedito ad Hillary Clinton, all’epoca Segretario di Stato, di dare l’assenso quattro anni dopo alla più imponente vendita di armi della storia, 63 miliardi di dollari in tutto, proprio a favore dell’Arabia Saudita.
I rapporti commerciali con questo paese sono una gigantesca torta da cui, comunque, mangiano tutte le principali economie del mondo, compresa quella italiana. Nessuno, in cambio, alza la voce per denunciare le perenni violazioni dei diritti umani in atto nel paese: è questo “il patto con il diavolo” che dà il nome al libro che Scaglione, nell’occasione, ha presentato.
Detto questo, la soluzione di Scaglione per uscire da questa spirale di terrore è assolutamente logica: “L’occidente non potrà mai vincere la battaglia contro il terrorismo finché sceglierà di avere come amici gli amici dei terroristi”. Ma quando si fa a patti col diavolo, di logico rimane ben poco.

L’Azione, domenica 10 marzo 2017

INCONTRO – La pace con le armi in Siria. Fulvio Scaglione racconta "Il patto col diavolo" from La Tenda Tv on Vimeo.

USA 2016: e se fosse andata diversamente?

Hillary Clinton

Forza ragazzi. Tra poche ore sapremo che Hillary Clinton ha vinto le presidenziali USA e potremmo tirare un sospiro di sollievo che neanche dopo la crisi dei missili a Cuba nel ’62.
E nel nostro paese inizierà subito una grande gara a salire sul carro della vincitrice, che per l’occasione assumerà le dimensioni del Titanic. I nostri politici, salvo pochi insignificanti distinguo, dichiareranno la propria soddisfazione per l’esito delle urne e Laura Boldrini su Twitter parlerà di “giornata storica per tutte le donne del mondo”. I quotidiani ci delizieranno con scontate frasi ad effetto del tipo “da oggi l’uomo più potente del mondo è una donna” e reportage sugli Stati Uniti, questo grande paese che nonostante le tante contraddizioni ancora una volta stupisce il mondo e quanta strada c’è ancora da fare in Italia; i vari Severgnini, Gramellini, Bignardi, Palombelli eccetera diranno esattamente quel che ci si aspetta dai vari Severgnini, Gramellini, Bignardi, Palombelli eccetera, e via così. Si faranno considerazioni semiserie sul nuovo ruolo da First Gentleman di Bill Clinton e sul lato del letto su cui dormirà, qualcuno toglierà dal congelatore Monica Lewinsky e insomma sarà un gran bel revival degli anni ’90, e a noi italiani i revival piacciono un sacco. Saremo travolti da un’ondata di entusiasmo che non troverà un riscontro tale forse nemmeno tra lo stesso elettorato americano, compreso quello di parte democratica, che dopo la staffetta Bush senior-Bush junior forse avrebbe preferito evitare appunto un altro revival, un altro passaggio di consegne in famiglia.
Il problema è che, in virtù dell’essere guidata da colei che ha salvato il mondo dall’Alcolico Biondo, l’amministrazione Rodham Clinton si sentirà legittimata a fare più o meno qualsiasi cosa.
Cosa? Lo possiamo immaginare non solo dai noti inciuci della ex First Lady col mondo della finanza, con conseguente appoggio (rimangiato di recente per opportunismo) all’ormai defunto TTIP, ma anche da suoi trascorsi di politica estera: lasciando perdere la fumosa questione delle email, la Segreteria di Stato a guida Clinton ha responsabilità precise negli sciagurati interventi militari in Libia e Siria, i cui effetti (in particolare terrorismo e migrazioni di massa) stiamo subendo e subiremo ancora per anni.
C’erano due regimi antidemocratici da rovesciare, si diceva; ma se è per quello ci sarebbe pure una monarchia assoluta in Arabia Saudita, culla e finanziatrice per stessa ammissione della Clinton dell’islam radicale, nonché terra natale di Osama Bin Laden e di gran parte degli attentatori dell’11 settembre. Nonostante questo, l’Arabia Saudita non la tocca nessuno, e c’è da scommettere che nel prossimo futuro le cose non cambieranno, visto che la nuova inquilina della Casa Bianca non si è fatta problemi, negli anni scorsi, ad approvare vendite di armi per miliardi di dollari proprio ai sauditi, col benestare del Premio Nobel per la Pace Barack Obama.
L’Arabia Saudita oltretutto è quel posto dove se non sei musulmano o sei omosessuale rischi la forca, e se sei donna i tuoi diritti basilari vengono quotidianamente calpestati. Eppure Hillary, che dice di sostenere i diritti dei secondi e delle terze, e che anche per questo ha istituito una fondazione col marito, non si fa problemi a ricevere da anni abbondanti donazioni, per essa e per la campagna elettorale, dalle ricche famiglie saudite che rappresentano di fatto la classe dirigente del paese.
Ma tanto, che volete che sia? L’importante è evitare a tutti i costi la terza guerra mondiale con Trump, no? Da domani alla presidentessa basterà farsi fotografare ogni tanto in mezzo a dei latinos, ad un Gay Pride o ad una conferenza sul clima, per mostrare a tutti quanto sia di sinistra; e per il resto, neoliberismo e imperialismo come se piovesse. Come da tanti anni a questa parte, con poche variazioni sul tema.
Ma se la mano che toglie diritti sociali alle fasce più deboli, o bombarda per sbaglio dei civili da qualche parte nel mondo, fosse democratica e per giunta femminile, sarebbe meno grave, giusto?

[N.B.: ho pubblicato questo testo ieri sera su Facebook: previsione sbagliata. Ma guardate la luna, non il dito.]

In ricordo di Shahbaz Bhatti

Nonostante sia stata una serata pubblicizzata all’ultimo minuto, l’auditorium del collegio San Giuseppe di Vittorio Veneto si è riempito sabato 9 aprile per l’incontro, organizzato dall’Azione Cattolica diocesana, con Paul Bhatti, il fratello di Shahbaz Bhatti, ministro pakistano delle minoranze religiose assassinato dai terroristi lo scorso 2 marzo.

Paul ha passato alcuni giorni nella sua terra adottiva, la nostra terra, prima di tornare in patria dove è stato chiamato, letteralmente, a colmare il vuoto lasciato dal fratello, ereditando di fatto il suo incarico politico e la guida delle attività umanitarie promosse dal fratello scomparso.

La serata è stata un’occasione per ricordare questa figura che può essere annoverata, senza timore di risultare irrispettosi, tra i grandi martiri della fede cristiana. E, per Paul, di dichiarare quali saranno le sue prime mosse da politico: il suo punto di partenza sarà la coltivazione del dialogo interreligioso con l’islam moderato, in modo da contrastare i fondamentalismi. Contro l’ignoranza e le interpretazioni errate del Corano, l’ormai ex volontario del Pronto Soccorso di Oderzo cercherà di favorire l’insegnamento corretto del libro sacro islamico non solo nelle moschee ma anche nelle chiese e nei luoghi pubblici.

Il dibattito, moderato dal presidente dell’A.C. Diego Grando, è iniziato parlando del perdono della famiglia Bhatti nei confronti degli assassini di Shahbaz: «Il perdono fa parte della nostra fede – ha semplicemente affermato Paul – perdonare per noi significa fare onore a questa fede che Shahbaz ha professato fino all’ultimo». Paul ha ricordato i tanti attestati di solidarietà giunti da ogni parte del mondo, da esponenti politici e religiosi, anche musulmani, e certi strani comportamenti del fratello che, visti col senno di poi, fanno pensare che fosse in qualche modo consapevole che la sua fine era vicina. Ha ricordato la sua cocciutaggine che lo portava, pur di non abbandonare la sua povera gente, a trascurarsi sia fisicamente che economicamente: in eredità al fratello ha lasciato solo un conto in banca quasi vuoto e un’automobile. Viveva in una casa in affitto.

Shahbaz, tra l’altro, era consapevole di quanto avesse messo in gioco la sua vita nella fede in Cristo attraverso l’amore per il prossimo da aver sempre rinunciato ad ogni proposito di sposarsi: potremo quindi definirlo “un consacrato”, anche se non… ufficialmente. «Noi dovremo essere disposti a dare la vita affinché non ci siano discriminazioni nel nostro territorio – ha provocatoriamente affermato mons. Martino Zagonel – per esempio nell’accoglienza degli immigrati. Qualcuno di noi è disposto a dare la vita per questo?».

L’Azione, domenica 17 aprile 2011

N. B. Non è la prima volta che parlo di Bhatti: vi invito a leggere anche questo post. Questa volta invece mi pareva giusto e significativo pubblicare questo articolo il Venerdì Santo.

Otto marzo

Sottotitolo: Shahbaz, 1968-2011

Mercoledì scorso, 2 marzo 2011, è stato assassinato in Pakistan Shahbaz Bhatti, ministro per le minoranze religiose del paese. Cattolico, grande sostenitore del dialogo interreligioso, era nel mirino dei fondamentalisti islamici dal 2009, e ancora di più da quando, alcuni mesi fa, si era schierato contro la condanna a morte per blasfemia di Asia Bibi. Qui si può, anzi si deve, leggere il suo testamento spirituale.

Suo fratello Paul Bhatti, medico, vive in provincia di Treviso, e sotto Natale aveva rilasciato interviste per L’Azione, il nostro settimanale diocesano, e per la veglia della Pace tenutasi a Oderzo a inizio 2011. Lo stesso Shahbaz non poté, per cause di forza maggiore, partecipare a settembre ad un appuntamento a Motta di Livenza inserito nell’ambito del Giubileo mariano.

Sebbene purtroppo me lo aspettassi, sono rimasto comunque deluso dallo scarso risalto dato dai media nostrani a questa notizia: questi, salvo poche eccezioni abbastanza scontate, hanno preferito parlare d’altro.

Eppure questo omicidio non può non scuotere le coscienze di noi tutti.

Di noi cristiani, perché Shahbaz Bhatti è un martire della fede che si può paragonare, senza timore di risultare esagerati, a tutti coloro i quali, da Santo Stefano in poi, da 1975 anni a questa parte, sono morti per difendere la loro fede in Gesù Cristo. Ricordiamocelo, ogni volta che esercitiamo una fede “da secondo banco”, chiusa in se stessa, comoda, buonista, che non cerca fastidi. Ogni volta che ci vergogniamo di essere cristiani perché la corrente va dall’altro senso.

Di noi occidentali, a prescindere dall’appartenenza o meno a un credo religioso, perché Shahbaz Bhatti ha lottato contro un modo intendere la religione oscurantista, integralista e retrogrado che noi europei, per primi, abbiamo mandato in pensione.

Di noi amanti della laicità, nel senso più nobile del termine, perché Shahbaz Bhatti è morto per difendere la libertà di credo, e di conseguenza anche di pensiero. Anche di chi non la pensava come lui, quindi. Non vi viene in mente un famoso aforisma di Voltaire che Voltaire non ha mai pronunciato? Volete un aiutino?

Di noi abitanti del mondo, perché in un mondo dilaniato dagli scontri di civiltà e dalla diffidenza verso il diverso, l’unica strada da seguire, per quanto difficile, è quella del dialogo, della convivenza e del rispetto reciproco.

E infine di voi donne, perché Shahbaz Bhatti è morto anche per aver preso le difese non solo di una cristiana, ma anche di una donna, in luoghi dove la loro dignità viene quotidianamente calpestata.

E’ anche per questo motivo che questo post viene pubblicato l’8 marzo, festa della donna.

Care donne, non so in che modo onorerete questa ricorrenza, se andando a cena con le amiche in un locale con i camerieri in perizoma o partecipando a manifestazioni per rivendicare i vostri diritti o il vostro ruolo nella società: ricordatevi, anche solo per un momento, di quest’uomo morto a 42 anni per difendere la libertà di una di voi. Una donna che oggi non avrà la libertà di scegliere se andare a cena con le amiche in un locale con i camerieri in perizoma o se partecipare ad una manifestazione per rivendicare i suoi diritti o il suo ruolo nella società.

Se non ora, quando?

Mons. Marcuzzo incontra gli studenti del Liceo Scarpa

Nella mattinata di lunedì 17 gennaio mons. Giacinto-Boulos Marcuzzo, [vescovo ausiliare del Patriarca di Gerusalemme a Nazaret,] ha incontrato, al cinema Cristallo, gli studenti di liceo classico e linguistico: un incontro organizzato e autogestito dagli stessi studenti, ai quali si sono aggiunti i “colleghi” del Brandolini.

«Assalamu alaikum», ovvero la pace sia sopra di voi: così ha esordito mons. Giacinto, con una popolarissima espressione di quella lingua araba di cui si innamorò, bambino, frequentando l’istituto Missionario Pio X a Oderzo, una lingua e una cultura che oggi insegna a studenti di tre religioni diverse.

E’ impossibile sintetizzare due ore e mezza di dibattito, tra intervento e domande del pubblico: ne riportiamo alcuni passaggi.

In oriente non può esistere una distinzione tra politica e religione perché sono considerati elementi indivisibili: questo è all’origine di tanti problemi, non solo in medio oriente. Occorre invece “Distinguere per unire”, ovvero: scuola, politica, economia, religione sono realtà che devono avere la loro autonomia, ma procedere nella stessa direzione, ovvero aiutare e far crescere la persona.

Il conflitto Israele-Palestina ha radici antichissime. Per gli occidentali è un conflitto militare, per gli orientali, invece, religioso. Non è vero: è un conflitto politico, politico nel senso alto del termine ovvero che riguarda ogni aspetto della vita quotidiana. E’ lo scontro tra le due grandi culture del mondo, da una parte quella islamica e dall’altra quella giudaico-cristiana-greco-romana, ovvero tutto ciò che siamo. Un conflitto quindi che non può non interessarci, e che, se degenerasse, avrebbe conseguenze disastrose per il mondo intero.

La decisione dell’ONU di creare lo stato d’Israele nel 1948 fu doverosa ma attuata nel modo sbagliato: due terzi del territorio agli israeliani, che rappresentavano un terzo della popolazione, e il previsto stato di Palestina ancora oggi non è realtà. Anche perché nei territori che dovrebbero andare ai palestinesi oggi sorgono centinaia di colonie israeliane, alcune delle quali enormi, e il tristemente famoso muro, che come tutti i muri della storia non ha risolto alcun problema, anzi.

Gerusalemme: arabi e ebrei per averla tutta per sé sono disposti veramente a tutto, e nessuno vuole cedere di un passo. La soluzione proposta dalla Chiesa locale, ma rifiutata da entrambe le parti, è di creare una città “di proprietà dei suoi abitanti”, capitale di entrambi gli stati, con un governo autonomo che rappresenti degnamente i due popoli.

L’ostacolo principale alla pace è la buona volontà, il voler accettare che l’altro esiste e ha diritto a vivere. La pace è difficile da raggiungere ma possibile: ci vuole un cambiamento di disposizione del cuore, che è la causa di tutti i problemi dell’uomo, nessuno escluso. E la chiesa locale lavora in questo senso: per favorire la fiducia reciproca e il dialogo. Come? Partendo da una “laicità positiva”, ovvero, “ci accettiamo anche se  siamo diversi”, e dalla fede in Dio, sebbene concepita dalle tre religioni monoteistiche in tre modi diversissimi: i punti di partenza quindi possono essere lontani, ma se si va nella stessa direzione, ovvero verso Dio, ci può essere unità.

L’Azione, domenica 23 gennaio 2011

P. S. Sto studiando la possibilità di mettere in rete la registrazione integrale della conferenza. A qualcuno interessa?

2011

* L’anno è iniziato con una strage di cristiani in una chiesa di Alessandria (Egitto, paese islamico moderato). Il papa parla di “vile attentato”, di “offesa a Dio” e la massima autorità islamica egiziana, l’imam Ahmed al-Tayyeb, considerato un moderato, invece che prendere le distanze dai terroristi parla di inaccettabile ingerenza negli affari egiziani.

* In Europa invece la Comunità Europea pubblica, coi soldi dei cittadini, un diario da distribuire nelle scuole che contiene tutte le festività ebraiche, islamiche, cinesi, indù, Sikh e civili, ma si dimentica di segnalare che il 24 aprile è Pasqua e che il 25 dicembre è Natale.

* In Italia, il primo a prendere posizione sul “caso Diario” è Frattini. Ma lui è Ministro degli Esteri e non poteva stare zitto. I media nostrani ignorano, o quasi, la notizia. Il secondo che prende posizione è Borghezio.

* Ripeto: Borghezio. Nessun altro ha ancora detto o fatto qualcosa di concreto, mi pare. La notizia del 16 dicembre.

* La Commissione Europea, riguardo al diario, ha parlato di “stupido errore”. Per rimediare, nella prossima agenda non ci sarà riferimento ad alcuna festività religiosa.

* Pierluigi Bersani, segretario del Partito Democratico, scrive invece nei suoi profili Twitter e Facebook: Dopo quel che è successo in Egitto serve una mobilitazione internazionale per la libertà religiosa. Seguono i commenti degli utenti: due terzi di questi vanno fuori tema o al massimo dicono, in sostanza, “Chissenefrega”.

Se il buongiorno si vede dal mattino…

Allah è grande e Gheddafi è il suo profeta

In realtà il buon vecchio Giovanni Lindo Ferretti ha recentemente affermato di essersi pentito scritto questo verso; era il 1984 o iù di lì, ma dopo la recente esibizione della Guida della Rivoluzione Gheddafi a Roma, queste parole sono tornate di stretta attualità.

Ora, a posteriori, non so davvero chi abbia fatto la figura peggiore. Se l’abbia fatta Gheddafi stesso, grazie ai suoi ridicoli eccessi; oppure le nostre istituzioni che per l’ennesima volta lo hanno assecondato in tutto (unica eccezione Fini, ma l’estate scorsa) regalando agli italiani e al mondo questo indegno spettacolino; oppure ancora le centinaia di ragazze che hanno venduto la loro dignità per 80 euro.

Ora, grazie a questo scempio che sembrava uscito dritto dritto da un cinegiornale dell’istituto Luce, ad aziende italiane dovrebbero venire concessi appalti milionari per costruire le strade e le infrastrutture in nord Africa che il Cav ha promesso al suo “omologo” libico. Perchè chiaramente è questo che conta; per il resto, la lotta all’immigrazione clandestina per la Libia è più un business che una scocciatura, condotto tra l’altro con metodi degni del Terzo Reich. E riguardo all’amicizia Italia-Libia beh… lasciamo perdere.

In tutto questo infelice marasma è così passata in secondo piano la dichiarazione di Gheddafi che ha auspicato l’islamizzazione dell’Europa.

In secondo piano nel senso che, quando affermazioni di questo tipo uscivano dalla bocca di idioti come Adel Smith o di imam italiani integralisti, ecco subito c’era qualche politco nostrano che si stracciava le vesti, brandendo crocifissi e invocando la difesa dei soliti valori cristiani.

Stavolta, invece, (quasi) silenzio.

Ha proprio ragione Elsa Morante quando scrive che i nostri politici riescono ad essere “cattolici senza credere in Dio”.

Soprattutto se si pensa che Elsa Morante è morta 25 anni fa e quella frase l’ha scritta nel 1945, riferendosi a qualcun’altro.