Guido, figlio del Ventennio

“Guido, figlio del Ventennio” è il titolo dell’ultima fatica dell’opitergino Vito Marcuzzo, appassionato indagatore della storia della sinistra Piave a cavallo tra i due conflitti mondiali.  

L’argomento di questa sua nuova pubblicazione riguarda la breve vita di Guido, un giovane di Oderzo il quale, essendo nato giusto un secolo fa, visse l’infanzia e l’adolescenza durante il regime fascista. L’autore ricostruisce le sue vicende private attraverso documenti scovati in collezioni private nonché in archivi locali e nazionali, e i ricordi di gioventù di chi lo conobbe. Tutto questo serve a Marcuzzo anche per raccontare la vita di Oderzo e dei suoi dintorni attraverso alcuni protagonisti dell’epoca tra cui due emigrati di successo (Geremia Lunardelli e Amedeo Obici), politici come il conte Alessandro Marcello, Angelo Tommaso Tonello e Gerolamo Lino Moro e mons. Domenico Visentin, il carismatico abate-parroco di Oderzo del quale emergono soprattutto i forti contrasti che ebbe con le autorità fasciste locali. 

Il cognome del protagonista emerge solo verso la fine della storia, più o meno quando Guido risponde alla chiamata alle armi: arruolato nell’artiglieria alpina del gruppo “Conegliano”, gruppo a sua volta inquadrato nella brigata Julia, lascia l’Italia prima per Scutari, in Albania, e poi per la campagna di Russia dalla quale non farà ritorno. Cambia così anche il tono delle pagine, che si riempiono della fitta corrispondenza del protagonista fino all’oscuro epilogo, e diventano così il vivo ritratto della vita quotidiana di un soldato al fronte, in fondo tanto simile a quella di centinaia di migliaia, per non dire milioni, di suoi coetanei in mezzo mondo. 

Nota a parte merita l’apparato fotografico, per la gran parte del tutto inedito, a corredo del testo.  

Vito Marcuzzo
Guido, figlio del Ventennio 
Gianni Sartori editore, 2020
360 pagine, 22 euro

L’Azione, domenica 6 settembre 2020

Una tesi su Wojtyla diventa libro

Foto di Martina Tommasi

La seconda edizione de “Viaggio nel Sacro tra Piave e Livenza” inizierà nella serata del 26 settembre in duomo a Oderzo con la presentazione dell’opera prima di una venticinquenne di Mansué, Arianna Tomasi.
Dalla cortina di ferro alla rivoluzione Wojtyla è la sintesi della sua tesi di laurea in Diplomazia e Cooperazione Internazionale, ottenuta presso l’ateneo di Gorizia. 

Come ti è venuto in mente di affrontare questo scorcio di storia della Chiesa da questo punto di vista?
Già durante la triennale avevo il desiderio di scrivere qualcosa sulla Santa Sede e le sue relazioni diplomatiche, anche perché non avrei le competenze di scrivere qualcosa di carattere teologico, ma solo a gennaio 2019 ho iniziato seriamente a studiare l’argomento.
All’epoca frequentavo la scuola della fede a Oderzo e sono venuta a sapere da don Giorgio Maschio, uno dei relatori, che padre Aldino Cazzago, un carmelitano, sarebbe venuto a fare una lezione su papa Giovanni Paolo II. In quell’occasione l’ho avvicinato e gentilmente mi ha dato consigli e suggerito fonti da consultare, tra cui vari testi scritti da lui e da altri (Luigi Geninazzi, Andrea Riccardi…). A settembre ho presentato il progetto al mio relatore Cesare Lamantia che l’ha accolto con entusiasmo: in meno di tre mesi ho scritto la tesi, e mi sono laureata con un inaspettato 110 e lode. 

In seconda di copertina c’è una dedica a Giuseppe Covre, autore della prefazione, dalla quale si intuisce che non pensavi di pubblicare la tesi.
No, e questa è la parte più umana di questa vicenda… Mia mamma lavora presso l’Eureka di Gorgo al Monticano. Covre [il proprietario, n.d.A.], da appassionato di storia, chiese a mia madre una copia della mia tesi. Dopo qualche giorno lo vede presentarsi in ufficio: erano settimane che mancava, per i suoi motivi di salute. Si siede davanti a lei e le dice che la tesi gli è piaciuta molto, che dovrebbe essere diffusa, e che se io fossi stata disposta a ridurre il numero di pagine mi avrebbe regalato la pubblicazione. Per poco non le veniva una sincope, e anche a me quando l’ha detto! 

E quindi?
Ci siamo incontrati a fine febbraio, già con le mascherine addosso, insieme a Gianni Sartori e l’avvocato Tommaseo Ponzetta: Il primo era l’editore e il secondo colui che avrebbe seguito i contenuti. Bepi ha fatto a tempo a vedere la bozza definitiva e la copertina, e si è raccomandato che il progetto andasse a termine. Dopo qualche giorno purtroppo è mancato, e da allora la moglie Oliva, e soprattutto Angela, la figlia minore, si sono prese in carico il progetto.
Dopo il lockdown abbiamo ripreso le fila del discorso e a fine luglio siamo andati in stampa. Buona parte dei ricavato delle vendite andrà in beneficienza, ad un ente che decideremo insieme: è il mio desiderio e sappiamo che è quel che voleva Bepi. 

Puoi darci maggiori dettagli sui contenuti del libro?
L’idea di base è che sono le persone a vivere e scrivere la storia: mi sono quindi chiesta quanto abbia contato politicamente la figura del Pontefice nella seconda metà del Novecento. Sono partita dal pontificato di Roncalli, il primo che ha avviato un dialogo col mondo comunista per salvaguardare la libertà religiosa dei cattolici. Si passa poi a un diplomatico nato come papa Paolo VI, analizzo figure importanti (i vescovi BeranMindszenty e Wyszyński) e il loro dialogo, fatto anche di contrasti, con la Santa Sede. Arrivo quindi all’elezione papale di Karol Wojtyla il quale nella sua prima omelia quando sprona ad “aprire i confini degli stati, i sistemi economici come quelli politici” mette subito in chiaro come sarebbe stato il suo pontificato, sul quale si concentra buona parte del libro. Le masse sono state alla base della rivoluzione del 1989: la seconda idea base del libro è che papa Giovanni Paolo II può essere considerato una rivoluzione non perché ha perseguito metodi rivoluzionari, ma perché di fronte alle delle ingiustizie evidenti ci può essere un cambiamento radicale senza imbracciare armi, ma semplicemente con la forza della diplomazia e la volontà degli esseri umani.

L’Azione, domenica 27 settembre 2020