Secondo una battuta che gira tra i linguisti, una lingua è un dialetto con un esercito. Quella veneta non ha più un esercito da oltre due secoli ma era, e rimane, una lingua: di dialetti, casomai, si può parlare se analizziamo il modo in cui la lingua è parlata in un luogo, con tutte le differenze rispetto a come si parla anche solo a pochi chilometri di distanza.
Al dialetto trevigiano parlato a Oderzo si è dedicata la dottoressa Chiara Zanini, ricercatrice all’università di Zurigo; nell’aprile 2022 chiese ai giornali locali, tra cui L’Azione, di diffondere tra gli opitergini un questionario anonimo compilabile su internet per studiare in che modo è cambiata la loro parlata negli ultimi decenni. Oggi manteniamo la promessa che facemmo allora di dare notizia dei risultati, pubblicati dal Journal of Linguistics, rivista edita dall’università di Cambridge.
Il titolo dell’articolo, ovvero L’é ciaro che se dise cusì. On Change in the System of Expletive Subject Clitics in Opitergino, è stato scelto perché inizia con l’elemento studiato nell’articolo stesso: la l con l’apostrofo iniziale infatti è detta “clitico espletivo soggetto”, una struttura presente nelle lingue dell’Italia settentrionale ma non nel cosiddetto italiano standard.
A rispondere all’appello della dottoressa Zanini furono in 176: dopo una attenta analisi, ottantasette questionari vennero selezionati per studiare, così, in che modo è variato l’uso dei clitici rispetto ad una volta. A questo proposito è stato prezioso il contributo di alcuni abitanti nati prima del 1942 per i quali l’italiano standard è stato di fatto la seconda lingua.
Come lo stesso studio afferma, l’esposizione della popolazione soprattutto ai programmi televisivi da settant’anni a questa parte ha avuto un risultato bidirezionale: da una parte l’emergere dell’italiano standard come lingua dominante, dall’altra l’imposizione di alcune varietà locali all’italiano stesso determinando la nascita dei vari italiani regionali. Lo studio, portato avanti da un gruppo di lavoro coordinato dal dottor Francesco Gardani, sostiene che l’italiano standard abbia influenzato la variante locale opitergina. Fin qui, nulla di sorprendente, ma ciò che conta è il come: la conclusione è stata che il dialetto opitergino sia rimasto sostanzialmente stabile, ma con un indebolimento delle regole nei dichiarativi e l’erosione dell’obbligatorietà dei clitici negli interrogativi.
Detto in parole povere, rispetto ad una volta un opitergino potrebbe considerare più tollerabili affermazioni come “è ciaro?” o “è tardi” rispetto ai “l’è ciaro?” o “l’è tardi“, più corrette in quanto dotate di clitico. Questo potrebbe essere il sintomo di un cambiamento in corso, ovvero di un timido avvicinamento della parlata opitergina rispetto all’italiano standard, dovuto non solo all’influenza che la lingua nazionale ha sulla locale, ma anche ad una “ristrutturazione interna” della parlata locale: quest’ultima ipotesi è dovuta al fatto che gli intervistati hanno dimostrato una certa soggettività a dare le risposte, e che non è stata riscontrata una correlazione tra tali risposte e l’età degli intervistati.
Come si può vedere, siamo di fronte ad uno studio molto specifico e anche di difficile comprensione per i non addetti ai lavori, ma non certo privo di interesse: si pensi per esempio che le riflessioni che Pierpaolo Pasolini fece sui mutamenti antropologici degli italiani riguardarono anche i cambiamenti della lingua. La globalizzazione, il fenomeno che ha permesso che il primo studio in assoluto sulla parlata opitergina sia stato realizzato da un’università svizzera e pubblicato da una casa editrice britannica, sta inevitabilmente diminuendo l’uso delle lingue locali a favore delle nazionali; ma se, nonostante questo, una parlata locale come quella opitergina dimostra ancora una certa robustezza, si può affermare che la morte della lingua veneta sia tutt’altro che imminente.
Chi volesse approfondire l’argomento può accedere gratuitamente all’articolo integrale visitando il sito internet della rivista, rintracciabile tramite i motori di ricerca.
L’Azione, domenica 25 febbraio 2024